Nuove solitudini

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E’ uno dei tanti paradossi della nostra società. Viviamo nell’era della tecnologia, della comunicazione globale, nell’era di internet che ci permette in un solo istante di metterci in contatto con chiunque in qualsiasi parte del nostro pianeta. Eppure la nostra è un’epoca di solitudine, o meglio di nuove solitudini.

Agli inizi del terzo millennio stiamo infatti assistendo alla nascita di tante solitudini completamente diverse da quelle che vivevano le precedenti generazioni. Sono forme di disagio tipiche del nostro tempo, frutto di contraddizioni di un’epoca in cui i rapporti umani non solo sono sempre più difficili da mantenere ma, in quanto rapporti troppo spesso “mediati”, non sono autentici e profondi.

Viviamo a stretto contatto con la gente, ma è come se ne avessimo paura, difendiamo i nostri spazi per timore che vengano invasi, poniamo dei limiti alla nostra disponibilità a “dialogare” con l’altro, difficilmente scendiamo in profondità, l’intimità ci confonde e ci sottrae energie da destinare alla frenetica quotidianità.

In questo contesto si inserisce l’uso eccessivo di strumenti come il telefono, il cellulare, gli sms, internet, le chat, che consentono una comunicazione verbale in cui però il corpo è totalmente assente, una comunicazione spesso falsa e mascherata che rischia di favorire l’isolamento e l’incapacità di sostenere un autentico confronto con gli altri.
La solitudine non ha un’età e non ha una condizione sociale. Tutti, in qualsiasi momento della nostra vita possiamo sperimentare questo sentimento.

La solitudine dei bambini e degli adolescenti

I bambini di oggi crescono in una situazione certamente difficile; rispetto ad un tempo, infatti, non hanno fratellini, non hanno cugini, sono si inseriti sempre più precocemente nella comunità scolastica, ma sono anche circondati da un mondo di adulti-anziani. Inoltre, spesso manca loro il dialogo in famiglia anche perché i genitori hanno sempre meno tempo da dedicare loro. Giocano poco.

 Pensiamo al problema dell’obesità che è emerso negli ultimi tempi, e che si spiega non solo sulla base delle cattive abitudini alimentari, ma anche sulla base di quella che viene definita “malattia ipocinetica”: i bambini cioè si muovono poco e passano troppo tempo davanti ai videogiochi o alla televisione. Oggi, purtroppo, non ci si diverte più come una volta. Nelle grandi città diventa sempre più rara la dimensione del cortile e della piazza, dove un tempo si praticavano i giochi all’aperto. Erano occasioni per dialogare, confrontarsi, vivere una parentesi di svago rispettando delle regole ben precise. Quindi, erano anche momenti fortemente educativi.

Anche l’adolescenza soffre di solitudine. E’ un periodo molto difficile che comporta profondi cambiamenti, non solo a livello fisico, ma anche psicologico. I giovani di oggi solo apparentemente sembrano avere tutto ciò che gli occorre; in realtà mancano loro le cose più importanti: un’identità sicura e dei saldi punti di riferimento.

E’ difficile crearsi una propria identità in un mondo così confuso, veloce ed esigente, un mondo dove i modelli a cui ispirarsi sono per lo più quelli falsi, inconsistenti ed irraggiungibili della televisione. Da questo spesso deriva un senso di impotenza ed inadeguatezza che si oppone alla creazione di una vera individualità. A ciò poi si aggiungono altre fonti di debolezza: a livello individuale, le ricorrenti separazioni affettive, i divorzi dei genitori, i frequenti spostamenti, una non forte rete amicale; a livello sociale, le crisi politiche, economiche, morali e spirituali, culturali, ideologiche e i continui cambiamenti dei valori. I genitori, poi, sono spesso presenti solo attraverso oggetti e regali. Dallo stereo al motorino, all’automobile, alla vacanza dispendiosa. Lo stile educativo di molti genitori è un tentativo di annullare i propri sensi di colpa nei riguardi dei figli. Le attuali famiglie ridotte ai minimi termini non riescono più ad offrire le confortanti presenze di qualche decennio or sono. Non resta che mercanteggiare benessere e consumismo per riempire vuoti che si ingigantiscono sempre di più. Tutto ciò contribuisce a disorientare l’adolescente e soprattutto a farlo sentire meno sicuro e più solo. Quando la solitudine diviene patologia l’adolescente, e non solo, può cercare rifugio in varie forme di dipendenza: farmaci, fumo, droga, cibo, alcool, televisione, internet. Questo è il pericolo più estremo, che riguarda ovviamente coloro che sono più deboli e non pronti ad affrontare la complessità del mondo che ci circonda.

E’ stato comunque scientificamente provato che la solitudine non provoca solo disagi psicologici: infatti le persone che sperimentano questo sentimento hanno più problemi di salute e un’attesa inferiore di sopravvivenza rispetto a coloro che non si sentono soli. La solitudine può alterare le funzioni cardiache, i ritmi del sonno, aumentare la pressione sanguigna, intensificare gli squilibri ormonali e diminuire le difese immunitarie.

 La solitudine degli anziani

Un altro periodo della vita a forte rischio di solitudine è la vecchiaia. La presenza di molti anziani nella nostra società e la loro longevità sono obiettivi raggiunti grazie al progresso della medicina. Eppure la loro presenza è avvertita con crescente preoccupazione. Si parla spesso del problema anziani: con i loro bisogni impegnano risorse, rappresentano un onere economico, sociale e sanitario di difficile gestione. L’attuale sistema socioeconomico produce solitudine e a farne le spese sono le persone più deboli, fra le quali proprio gli anziani. Chi non è parte del sistema produttivo perde il suo valore, vive lentamente una morte sociale attraverso la perdita dello status e della sua “utilità”. La persona si sente esclusa, isolata, sola. A questo si aggiunge la grande trasformazione della famiglia, dalla condizione patriarcale a quella mononucleare e urbana, più ristretta e fragile, che ha fatto si che l’anziano si trovi sempre più solo ad affrontare i vari problemi. Con le sue necessità egli diviene un peso per una piccola famiglia, in città che non facilitano la prossimità e le relazioni. Quando si perde l’autonomia la soluzione più ovvia è quella di ricorrere agli istituti e alle case di cura, luoghi che certo favoriscono depressione, tristezza, solitudine, tutti stati d’animo che accelerano il deperimento fisico e psichico. Al contrario, l’affetto di amici e di famigliari allontana la percezione negativa dell’età e del proprio status ed aiuta ad alimentare le ragioni per vivere.

La solitudine in famiglia

Fra questi due estremi, l’adolescenza e la vecchiaia, ci sono tante altre solitudini, prima fra tutte quella della famiglia. Una famiglia in crisi, una famiglia in cui le unioni appaiono sempre più precarie e dove gli spazi per il dialogo e la comunicazione sono sempre più ristretti. La difficoltà di conciliare tempi di vita e di lavoro è sicuramente una delle cause che sottraggono alla famiglia l’attenzione e la cura necessarie per la sua stessa sopravvivenza. La mancanza di tempo, le preoccupazioni, tolgono spesso quelle energie che dovrebbero essere destinate a rafforzare il nucleo familiare per impedire che alla fine ci si ritrovi estranei e soli proprio al suo interno.

Bambini, giovani, anziani, tutti noi che viviamo passivamente questa attuale crisi silenziosa, permeata di noia, di solitudine, di autismo tecnologico, dovremmo allora cercare di rallentare il nostro tempo per trovare altre risorse, creatività, e per dare un “nuovo senso” alle cose.

28 ottobre 2005

Fonte: Scheda a cura della Dott.ssa Emanuela Caravaggi Mazzonna, Contrattista, collaboratrice presso l’Ufficio Stampa IIMS (istituto italiano di medicina sociale)