Solitudine in aumento “Un danno per la salute”

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Un libro descrive un fenomeno che non riguarda solo la sfera della emozioni

Secondo gli esperti, l’isolamento indebolisce l’organismo e complica la vita.Secondo le statistiche ne soffre il 20 per cento dell’umanità

C’è quella di chi detesta gli altri, quella di chi non ha più niente da dire, quella voluta e quella sofferta, quella che rilassa e quella che fa impazzire. La solitudine possiamo incontrarla dappertutto, anche in mezzo alla gente. E secondo le ultime statistiche riguarda quasi 4 milioni di italiani e il 20% della popolazione mondiale. Il professor John T. Cacioppo, docente di psicologia della University of Chicago, studia questa condizione umana da anni e ha raccolto i frutti del suo lavoro in un libro intitolato Loneliness: human nature and the need for social connection, frutto della collaborazione con lo scrittore americano William Patrick. 

Le sue pagine descrivono una società nella quale i momenti di socializzazione sono rarissimi, concentrata più sul mondo virtuale che sulla realtà, e denunciano anche gli effetti che questa situazione provoca sulla salute.

In primo luogo perché ci abbrutiamo tra sigarette e pasti consumati fissando il pc. E poi perché la solitudine distrugge la nostra capacità di parlare e di muoverci, rende più coriaceo il guscio che ci separa dal resto del mondo e ci indebolisce. Anche fisicamente. “Non è solo una sensazione – spiega Cacioppo – ma una minaccia: ha effetti devastanti, ad esempio, su coloro che soffrono di pressione alta”. Chi vive da solo e si sente un po’ giù di corda difficilmente fa sport, più spesso si rifugia nel cibo, nella tv, nell’alcol o nelle sigarette. E’ di pochi giorni fa la notizia di una ricerca canadese che mette in relazione il senso di isolamento con la temperatura corporea percepita. Chi si sente solo, secondo il team della University of Toronto, in genere soffre di più il freddo e preferisce i piatti caldi anche d’estate. Un esperimento che fa capire quanto la solitudine nasconda conseguenze incontrollabili.

Tra il 1985 e il 2004 la General Social Survey americana ha stilato una serie di statistiche basate su 1500 interviste a cittadini americani, facendo loro delle domande molto semplici: quanti amici hai? Con quante persone ti puoi confidare? La maggior parte degli intervistati ha risposto in modo vago, molti addirittura non sapevano cosa dire. Cacioppo è partito da lì e ha riscontrato,

continuando a fare interviste dello stesso tipo, che oggi circa 60 milioni di americani si sentono soli.

La metà di questi abita per conto proprio, l’altra metà ha una famiglia o dei coinquilini. Ciò significa, spiega il professore, che il fenomeno non interessa solo chi è abituato a vivere in modo isolato, ma anche chi frequenta altre persone, parla e interagisce ogni giorno.

La solitudine è un segnale di dolore che spesso la società non recepisce – continua – Per intensità e carica devastante, potremmo paragonarla alla rabbia o alla sete”. Lo psicologo precisa inoltre che la società guarda più alla quantità che alla qualità delle cose, e che questo criterio spesso viene adottato nelle relazioni sociali. “Pochi ma buoni: la quantità spesso va a

scapito della qualità: è quello che ripeto ai miei pazienti”.

Per evitare che la solitudine diventi anche una malattia del corpo, Loneliness propone al lettore una serie di esercizi mentali. 

Fondamentale, ad esempio, è chiedersi quando è stata l’ultima volta che abbiamo parlato di un nostro problema di salute con qualcuno che non fosse il nostro medico. O magari domandarsi a chi potremmo lasciare nostro figlio in caso di necessità, ad eccezione della baby-sitter. Secondo lo psicologo di Chicago, se le risposte a queste e ad altre domande fossero negative, dovremmo in qualche modo correre ai ripari. Edward Bach nel suo libro The twelve healers and other remedies suggeriva di combattere la solitudine con un mix floreale di nome Heather, ma forse il modo migliore è cercare di conoscere gente nuova.

Secondo un’inchiesta di Contexts, il magazine pubblicato dall’American Sociological Association, i legami che si formano all’esterno della cerchia familiare sono in genere i più salutari, perché mettono l’individuo a contatto con persone e culture diverse. Avere molti amici, magari appartenenti a ceti sociali lontani dal nostro, migliorerebbe la qualità della vita. Per capirlo basta riflettere, spiegano gli esperti, su quanto è accaduto dopo l’uragano Katrina. La maggior parte delle vittime non aveva amici che possedessero una macchina e quindi in grado di correre in fretta a dare una mano. Pasolini scriveva che “bisogna essere molto forti per amare la solitudine”: le tragedie di ogni giorno ci ricordano che tanto forti non siamo.

(17 ottobre 2008) di SARA FICOCELLI – Fonte repubblica.it – tecnologia e scienza

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