La pandemia ha rivelato solitudini

Betty Balzano

«Siamo esseri sociali, abbiamo bisogno, ad un certo punto, di incontrarci, di ridere, di arrabbiarci, di parlare, e anche magari di venire sorpresi da qualcosa che non ci aspettavamo» dice la scrittrice Susanna Tamaro

…La solitudine è stata sempre la cifra predominante della mia vita: da sola non mi annoio mai e ho bisogno di solitudine per inoltrarmi in mondi altrimenti difficili da raggiungere ma ciò non mi ha mai impedito di avere rapporti e amicizie profondi. L’inedita situazione creata dal virus ci ha portati improvvisamente a riflettere su questa condizione. L’impossibilità di vedersi, di incontrarsi ha fatto sentire molte persone disperatamente sole ma è davvero così o il virus è stato soltanto una cartina di tornasole che ha portato alla luce il profondo isolamento in cui ci ha immerso la società virtuale?

«SALUTO LE PERSONE E NON RISPONDONO, ASSORBITE IN UN ALTRO MONDO. MA VIVERE IN UN ALTROVE IMMAGINARIO ILLUDE DI ARRICCHIRCI: IMPOVERISCE»

Mi è capitato più di una volta, in questi anni, di trovarmi su un autobus e di dover chiedere un’informazione su dove scendere e di non ricevere risposta perché ognuno dei passeggeri era immerso in un suo altrove, così come mi succede spesso quando cammino nei sentieri di campagna: la maggior parte delle persone che incontro e saluto non rispondono, assorbite come sono in un altro mondo, grazie alle onnipresenti cuffie nelle orecchie.

Vivere in un altrove immaginario anziché nel qui e ora vuol dire abitare una realtà adulterata, una realtà che ci fa passare il tempo, ci illude di arricchirci ma, in realtà, ci rende sempre più poveri perché la solitudine vera, capace di devastare le vite, è quella esistenziale di sentirsi estranei a sé stessi. La solitudine è sempre stata una dimensione con la quale l’uomo ha dovuto fare i conti. Prima dell’onnipresente mondo dell’intrattenimento si era molto spesso soli. Si era soli da bambini, soli nelle inquietudini dell’adolescenza, soli nel lavoro, soli nella vecchiaia, ed erano proprio questi spazi di vuoto temporale a permettere alle persone di elaborare la propria riflessione sull’esistere. Se non so chi sono, se non ho elaborato una mia personale visione del mondo, come posso essere in grado di affrontare un rapporto con l’altro che sia davvero tale?

«MIGLIAIA DI AMICI SEMPRE CONNESSI MA, NELLA STRAGRANDE MAGGIORANZA DEI CASI, NON CONOSCIAMO NEPPURE IL NOSTRO VICINO DI CASA. NON SOLO NON SAPPIAMO CHI SIA, MA SPESSO TEMIAMO ANCHE DI INCONTRARLO»

Le tecnologie attuali ci permettono di avere migliaia di amici sempre connessi ma, nella stragrande maggioranza dei casi, non conosciamo neppure il nostro vicino di casa. Non solo non sappiamo chi sia, ma spesso temiamo anche di incontrarlo perché una realtà non gestibile con un clic ci spaventa. Temiamo l’invadenza, l’imprevisto, temiamo di impegnarci in qualcosa che ci toglierà la nostra libertà e minerà la sacralità della nostra privacy. Non accettiamo insomma più la rischiosa complessità dell’umano e questo rifiuto, in tempi brevissimi, ci ha spinto nel caos rumoroso dello svago obbligatorio che altro non è che il più desolato dei deserti. «Non tutto il male vien per nuocere», recita un antico detto e i detti sono sempre frutto di una saggezza stratificata nel tempo. Le meravigliose tecnologie di cui disponiamo hanno dimostrato le loro potenzialità in un momento di emergenza ma, nel farlo, hanno anche messo a nudo il grande bisogno di realtà che fa parte della nostra natura. Siamo «animali sociali» ma i social non ci bastano. Abbiamo bisogno di metterci in gioco, di affrontare sfide, di costruire il tempo invece di consumarlo. E la costruzione passa soltanto attraverso l’imprevedibile confronto con l’altro.