Olga come Medea: ha ucciso per vendetta

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Dopo la tragedia di Aosta, a colloquio con Cinzia Tani, autrice di “Assassine”, la storia di quattro secoli di delitti al femminile di Valerio Giaccia.

Roma, 27 giugno 2002 – Uccisi nei propri lettini, soffocati in auto con il gas di scarico o da un cuscino, gettati da un balcone come fossero di carta, accoltellati, strangolati, annegati dentro ad una lavatrice, oppure nel fondo di un lago nero come gli abissi della depressione, della solitudine o della rabbia più profonde. Samuele, Matteo, Davide e tutti gli altri ancora. La cronaca ci consegna i nomi di queste piccole vittime con scadenza che sconcerta e lascia ormai senza più parole.

Bambini uccisi da un male che stringe il nostro universo interiore, forse mai così sofferente? Vittime di un mondo dove solo in apparenza siamo tutti più vicini (pensiamo a Internet) ma dove in realtà molti non vedono più orizzonti? Non è così. Perché questa è la storia di una sofferenza antica, di un male oscuro che viene da lontano.

Tentiamo in proposito una riflessione con Cinzia Tani, giornalista, volto noto al pubblico della tv di qualità targata Rai (“Tempo futuro”, “Chiedi chi erano i Beatles”, “Italia mia benché”) e ora voce intelligente e attenta di Radio Rai con la versione via etere di “FantasticaMente”. Ma soprattutto scrittrice. In “Assassine” (Mondadori), la Tani passa in rassegna quattro secoli di delitti “al femminile”. Trentacinque terribili, al tempo stesso affascinanti storie di donne che uccidono.

Ma anche di mamme che uccidono. Perché “l’infanticidio – ci spiega – è il delitto più comune nelle donne, è una costante di tutte le epoche e non c’è differenza tra società sottosviluppate o civili. La storia è piena di bambini uccisi”. In passato non se ne sapeva più nulla. Oggi, un minuto dopo la sua confessione, tutti abbiamo sentito o letto che la mamma di Aosta aveva annegato i suoi due piccoli.

Ma chi è la madre uccide i propri figli? La Tanzi ci elenca i “prototipi”, che secondo gli studiosi sono 7: “la madre che è malata di mente; la madre vendicativa, che è gelosa dunque del proprio bambino; la madre arrabbiata con il marito, e questo è il caso, ad esempio, della mamma di Matteo e Davide; la madre depressa, e il 15 per cento delle donne, ricordiamolo, soffre di depressione post partum, un disturbo di cui nessuno parla ma che è gravissimo; poi la madre che non voleva il figlio che ha portato in grembo; la madre che ha paura che il figlio possa soffrire; la madre che diventa furiosa per il pianto del proprio bambino e che non riesce in nessun modo a calmare”.

E come ad Aosta, la storia è piena di casi di donne che uccidono i propri figli, molte volte suicidandosi, perché odiano il marito che le ha tradite e vendicandosi così di lui. “La mamma di Aosta ha lasciato un biglietto che inequivocabilmente l’avvicina alla tragedia greca di Medea: Giasone la tradisce, lei uccide i sui bambini. Medea cade in depressione e organizza l’assassinio. Olga però non si uccide, come fa la protagonista della tragedia di Euripide, anche se lo voleva, visto lo stato catatonico in cui l’hanno trovata nell’acqua”.
C’è, oltre al mito greco di Medea, una donna di “Assassine” che possiamo in qualche modo paragonare alla vicenda di Olga Cerise. “Penso – dice Cinzia Tani – a Denise Labbé, che nel 1954 uccise la sua bambina annegandola in una tinozza, quella che usava per lavare i panni, dopo aver inutilmente tentato di farlo in un lago. Glielo ordinò l’amante, era una prova d’amore. Lei per paura di essere abbandonata acconsentì. Una storia sconvolgente”.
Ne leggiamo un passo: “L’8 novembre 1954 raggiunse Catherine a Vendôme, dove era ospite della nonna. La piccola giocava con una bambola di pezza in giardino. La madre la prese per mano e le disse: ‘Andiamo a lavare la bambola, vuoi?’. La bimba la seguì contenta; la sua bambola era davvero sporca. Denise aprì la bocca per prendere aria, le mancava il respiro, poi pensò a Jacques, si concentrò su di lui, sul suo ultimatum. Velocemente afferrò sua figlia e la spinse a testa in giù nella bacinella di zinco piena di acqua e sapone…”.
Torniamo oggi, ad Aosta, alle sue similitudini con il delitto di Cogne. Ma sull’assassinio di Samuele la Tani ci ferma. “Non ho mai voluto commentarlo. E’ un crimine orrendo quello della società che accusa una donna senza prove”. Anche se ammette che qui, a differenza di Olga, siamo di fronte ad “una donna più forte, più attrice”, che “non a caso sceglie per la sua difesa l’avvocato Taormina, uomo abituato ai riflettori”. E comunque entrambe, la Franzoni e la Cerise, due donne “che non lavorano, insoddisfatte di se stesse e della vita che fanno, due donne sole”.

Fonte: http://redazione.romaone.it/4Daction/Web_RubricaNuova?ID=27949&doc=si