Buio nelle madri che massacrano i figli

stopsltd-ad-mast

Da qualsiasi parte la si consideri, la tragedia di Merano è avvolta dal buio. Da quel buio che ha avvolto la mente di Christine Rainer, quando ha ucciso a coltellate il figlio Julian. «È stato un blackout», ha detto alla polizia che lei stessa aveva chiamato, dopo avere ripulito il corpo martoriato del figlioletto da ogni traccia di sangue. Lo ha ripetuto ossessivamente prima di buttarsi dalla finestra mentre veniva interrogata.  Un raptus di follia che però, avvertono gli esperti, non è imprevedibile. «Il così detto raptus, o blackout, non esiste, il problema è che non si coglie la lunga catena di difficoltà che lo precede. Questi delitti si potrebbero prevedere: oggi la psichiatria ha gli strumenti per comprenderne i segreti», ha spiegato Tonino Cantelmi, presidente degli psichiatri cattolici.
I delitti in famiglia sono aumentati di sei volte negli ultimi cinque anni. Così le madri che uccidono i propri figli. Nel buio allora di queste tragedie e di tanta sofferenza, si pongono domande che richiamano drammaticamente i legami fra queste moderne Medee e i nostri difficili tempi. Mamme che hanno ucciso i propri figli ci sono sempre state, come racconta la cronaca e spiega la psichiatria: madri depresse che agiscono per troppo amore, per salvarli dal male che esse stesse vivono e che trasforma il mondo in una gabbia di torture, donne che ripetono sui figli le violenze subite da bambine, matricide per vendetta nei confronti del marito o del compagno che ha fatto loro del male. Ma oggi il fenomeno si sta esasperando per cause individuali e sociali. Intanto la depressione nelle donne sta galoppando. Ad ogni età, ma soprattutto fra le giovani e le madri. I ritmi stressanti del vivere moderno tutto proiettato sull’efficienza, dominato da un obbligo consumistico che ricade pesantemente su chi deve fare quadrare i bilanci familiari, il plagio di blasonati modelli femminili, lontani dalla realtà di tutti i giorni, che fanno sentire fuori posto chi non li realizza, l’impressione di vivere nell’inganno permanente e di essere alla mercè di forze distruttive, hanno indebolito la psiche delle nuove generazioni femminili. Un campanello d’allarme è l’aumento dell’alcolismo nelle donne, una ogni tre alcolisti, mentre l’uso di psicofarmaci è prevalentemente femminile.

La figura femminile, fin dall’adolescenza, è deformata spesso da un appiattimento sui peggiori aspetti del maschilismo: aggressività, prepotenza, competizione senza esclusione di colpi.

In questa giungla che stritola sentimenti e affetti, che dissolve certezze e impone pedaggi drammatici, la famiglia si sta autodistruggendo.

Mentre ha opportunità fino a qualche decennio fa impensabili, si sta disintegrando sui valori che la rendevano pietra d’angolo su cui costruire un futuro di garanzie e sicurezze, è in balia di terremoti che hanno fatto crollare un ordine naturale e umano, etico, un ruolo sociale.

Sempre più sola nell’affrontare i cambiamenti in atto, le fatiche di ogni giorno, le difficoltà interne e le minacce esterne.

Una solitudine percepita in particolare dalla donna, per la quale la presenza dei figli e l’ansia per il loro futuro diventano spesso motivo di tormenti interiori e strada aperta verso la depressione.
Tutto questo spesso non appare. Christine Rainer, 39 anni, era considerata una donna normale e una mamma perfetta con i suoi tre figli, per i quali aveva deciso di lasciare l’impiego e rimanere a casa. C’era stata la morte improvvisa della madre alla quale era molto legata, un anno fa, che l’aveva fatta molto soffrire, ma che non l’aveva distratta dalla cura dei bimbi di cui andava fiera, come raccontano i vicini. Anche se adesso viene fuori che da allora soffriva di disturbi psichici e sappiamo come sia difficile oggi avere degli aiuti in questa direzione per mancanza di strutture, a causa di una psichiatria che continua ad essere relegata negli angoli della sanità e di malattie psichiche che se non esplodono in manifestazioni drammatiche non vengono capite e curate.

Per una diffusa ignoranza, per una assurda vergogna, per l’assenza di adeguati supporti che, considerato il diffondersi di queste patologie (il 5 per cento della popolazione mondiale ne soffre) dovrebbero essere privilegiati, dovrebbero prevenire e curare, mentre continuano a latitare.

È un contesto che preme come un masso sugli anelli deboli. Sulla madre che si ritrova a dover affrontare il logorio della vita quotidiana, che attraversa momenti biologici e psicologici difficili, che affronta solitudini disperate.

 Che ha tante angosce che non riesce a dire, che non sa a chi confidare.

Madri che nell’intimità della casa, divenuta una prigione, possono diventare assassine per liberare i figli e se stesse da una realtà insopportabile.

Sta di fatto che a fare tragicamente le spese di questi drammi materni sono purtroppo i figli. Oggi i bambini sono divenuti le prime vittime di tanti malesseri.

Li favoriamo, concedendo loro tutto e più di tutto, in una grande confusione educativa e pedagogica, e in pari tempo facciamo loro subire violenze e soprusi di ogni genere, in un crescendo terrificante di violazione dei loro diritti.

Lo dimostrano gli abusi dell’infanzia in atto in tutto il mondo, lo testimoniamo realtà sconvolgenti come quella dei piccoli soldati dell’armata di Vladimir Putin, dove bambini di dieci anni vengono ogni giorno, dopo la scuola, allenati alla guerra, sotto l’egida di un «Programma di educazione e di promozione del patriottismo», caldeggiato dal Cremlino per rinvigorire la formazione paramilitare dei giovani russi.

Ma a chi interessano oggi le lacrime dei più piccoli? La loro infanzia rubata e straziata? Lo stravolgimento delle loro vite date in pasto ai Moloch moderni? Dalla cucina di Merano, il martirio di Julian, il suo pianto e le sue grida, mentre la madre lo uccideva durante la colazione mattutina con dieci coltellate, ci chiedono di non dimenticare un olocausto mondiale, privato e pubblico, legato alla ferocia dei nostri barbari tempi.

Domenica 2 ottobre 2005

Di Mariapia Bonanate

Fonte: ilnostrotempo.it