Vita sociale e poca rabbia tengono lontano il rischio di demenza

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Ricerca svedese: Vita sociale

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e poca rabbia tengono lontano il rischio di demenza. Un’indagine su oltre 500 anziani indica che questi fattori possono proteggere dal declino cognitivo

 ROMA – Avere una vita sociale, stare in allegria e mantenere la calma rappresenterebbero i cardini della strategia per tenere lontano il rischio di demenza senile. La raccomandazione arriva da uno studio dello svedese Karolinska Institutet si Stoccolma. che rivela come una vita all’insegna delle relazioni sia un antidoto al declino cognitivo in età avanzata. Chi ha una vita piena di affetti e rapporti, sottolinea infatti lo studio, taglierebbe di ben il 50 per cento il pericolo di fare i conti con la demenza rispetto a chi vive immerso nella solitudine. «La nostra ricerca – spiega Hui-Xin Wang, a capo dell’indagine – mostra che persone con un carattere equilibrato, che riescono a tenere a freno la rabbia e tendono a intrattenere rapporti sociali, corrono meno rischi di ammalarsi di demenza».

LA RICERCA – Per giungere a questi risultati, i ricercatori svedesi hanno chiesto a 506 anziani, nel corso di un studio durato 6 anni, di compilare un questionario relativo ai tratti fondamentali della loro personalità. All’inizio nessuno era affetto da demenza, ma trascorsi sei anni ben 144 persone facevano i conti con il problema. Così gli studiosi, nella ricerca che ha guadagnato le pagine della rivista Nature, hanno potuto rilevare che chi mostrava caratteri più miti e maggiormente inclini alle relazioni aveva il 50 per cento in meno di rischio di ammalarsi. Risultati importanti sulla strada della comprensione della demenza, problema che oggi affligge – stando alle stime – circa 24 milioni di persone nel mondo, che nel 2040 potrebbero addirittura quadruplicare, avvertono i ricercatori sulle pagine di Nature. «La buona notizia – fa notare Wang – è che ci sono fattori legati al nostro stile di vita che, in quanto tali, possono essere modificati a differenza di quelli genetici. Ma non è ancora chiaro come le nostre attitudini mentali possano influenzare il corso della malattia: siamo solo all’inizio».

20 gennaio 2009    Fonte : corriere.it