La depressione post partum esiste! Come riconoscerla e come curarla

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Spesso viene sottovalutata, o persino ignorata. Eppure colpisce una mamma su dieci. Può risolversi in pochi mesi. Oppure diventare una malattia seria. Che in casi estremi porta anche all’omicidio. Ma combatterla è possibile. Ecco tutto quello che dovete sapere.

«Se avessi ricevuto prima l’aiuto che ho trovato qui, forse non avrei fatto quello che ho fatto» ha singhiozzato Mery Patrizio, nel dire addio agli infermieri del carcere di San Vittore. Adesso è rinchiusa nell’ospedale psichiatrico giudiziario di Castiglione delle Stiviere, insieme ad altre disgraziate Medee che, come lei, hanno ucciso il proprio figlio. Finché il tempo non sbiadirà i titoli di cronaca, “Mery” sarà la mamma di Casatenovo che il 18 maggio ha annegato il suo bambino di 5 mesi nella vaschetta che usava per fargli il bagno. Ma quale demone l’ha spinta a sopprimere un figlio desiderato per cinque lunghi anni? “Psicosi puerperale” è la risposta che leggeremo forse nella sua cartella clinica.

Una grave malattia mentale che colpisce le madri, per fortuna solo una su mille. La deriva estrema di un disturbo molto diffuso tra le donne che hanno appena avuto un bambino: la depressione post partum, frutto di solitudine e smarrimento. Se ne parla poco, ma colpisce una madre su dieci. Prima dell’arrivo del piccolo, infatti, la mamma viene seguita da ginecologi e ostetriche. Poi è abbandonata a se stessa. Nessuno le spiega come attaccare al seno il figlio, come cullarlo o consolarlo quando piange. E le urla del neonato sembrano la conferma della sua inadeguatezza.

La mamma in blu

Ma cos’è davvero la depressione post partum? Non va confusa con il “baby blues”, le lacrime facili che assalgono quasi tutte le mamme, quando i livelli ormonali di estrogeni e progesterone scendono a picco e i seni si gonfiano di latte. La depressione è una malattia. Anche se può avere gradazioni e intensità diverse. Alcune donne soffrono di semplici crisi d’ansia e momenti di pessimismo passeggeri, che si risolvono in pochi mesi, con qualche seduta di psicoterapia. Altre devono fare i conti con una malattia più severa, che richiede l’intervento di uno psichiatra e il ricorso ad antidepressivi. Come si spiega questa differenza? «Malgrado una credenza diffusa, la colpa non è degli ormoni» avverte Lino Del Pup, esperto di endocrinologia femminile e ginecologo dell’ospedale di Oderzo, in provincia di Treviso.

«Certo, alcune donne sono più sensibili di altre alle tempeste ormonali, ma questo non giustifica una depressione grave. Altrimenti basterebbe un esame del sangue per scoprire chi è vulnerabile». Se la causa non è fisiologica, cosa ferisce l’animo di una donna? «Una crisi d’identità. All’improvviso la madre si trova a tu per tu con un esserino minuscolo, indifeso, che dipende interamente da lei» spiega Giuliana Lino, psicologa del Dipartimento materno-infantile dell’azienda ospedaliera Careggi di Firenze. «La donna deve interpretare le richieste del neonato, allattarlo di giorno e di notte, lavarlo, cullarlo. 

La sua vita è completamente assorbita dal piccolo. Non c’è spazio per gli amici o per il cinema, né per la cura del proprio corpo, ancora sformato dalla gravidanza». Non tutte reggono il peso delle nuove responsabilità, la gioia del bambino appena nato non basta più. Accade così che molte madri precipitino nel tunnel della malattia. Come Mara, che ha dovuto chiedere aiuto alle psichiatre del Centro per la cura della depressione femminile di Milano. Ogni giorno Mara tiene un diario dove registra le proprie emozioni. Confessa di essere felice quando sua madre, neo-nonna, culla il bimbo, gli fa il bagnetto, lo porta a spasso. Invece di essere gelosa, si sente finalmente sollevata da un peso. Alessandra, invece, scrive durante la notte, tra una poppata e l’altra. Non riesce a dormire: «Mi sembra di non gestire più nulla» si dispera. «Il bambino piange e io non capisco cosa voglia. Torno con la mente alla vita di prima, alle serate libere insieme a mio marito, alle gite con gli amici. E allora mi pento: non lo dovevo fare, questo figlio». Giulia si vergogna dei propri sentimenti, dichiara di sentirsi un mostro: «Tutti mi dicono che sto attraversando il momento più bello della mia vita, ma quando ho visto per la prima volta mio figlio ho provato solo un grande fastidio».

Cioè quella sensazione di estraneità, classificata tra i numerosi sintomi della depressione. I primi segnali del disturbo. «La mamma piange, non mangia più oppure mangia troppo, soffre d’insonnia, perde il desiderio sessuale, ha l’impressione di non farcela, di essere inadeguata di fronte al compito» osserva Gian Carlo Nivoli, docente di Clinica psichiatrica all’Università di Sassari, autore del libro Medea tra noi (Carrocci editore). «Anche solo cambiare il pannolino o fare il bagnetto al bambino le sembrano una fatica insostenibile. Guai a dire, come fanno molti mariti: “Reagisci, dipende solo dalla tua volontà!”.

Queste donne sono paralizzate, prive di energia, apatiche. La depressione è una malattia seria. E come tale dev’essere diagnosticata in tempo e curata». Ma ecco il punto: chi sorveglia l’umore di una madre? Il ginecologo, il medico di base, la famiglia? Di fatto, quasi nessuno. Individuare i casi a rischio. Ma c’è qualche eccezione. Giovan Battista Cassano, celebre docente di psichiatria all’Università di Pisa, sta sperimentando un metodo per scoprire quali donne siano inclini alla malattia, e impedire che questa esploda davvero. In che modo? Sottopone alle pazienti una serie di questionari sin dal primo trimestre di gravidanza, durante gli incontri col ginecologo o l’ecografista, e per tutto l’anno successivo al parto. Le risposte gli permettono di monitorare continuamente l’umore della donna. Se il metodo funzionasse, in futuro potrebbe essere adottato dalle maternità degli ospedali in tutt’Italia. «Il progetto è ormai avviato da un anno» spiega Cassano. «L’ho presentato al ministero della Salute e alla Fondazione Idea, che si occupa di studi e cura della depressione. Idea è diventata subito uno dei maggiori finanziatori». Oltre all’Università di Pisa, la ricerca coinvolge il dipartimento di psichiatria dell’Università di Napoli e quello dell’ospedale Fatebenefratelli-Oftalmico di Milano. Mille donne sono state già reclutate. «È presto per azzardare conclusioni» dice lo psichiatra. «Ma su una cosa posso sbilanciarmi: è bastato parlare con le partorienti, dimostrare una disponibilità all’ascolto, perché i casi di depressione riducessero della metà».

La prevenzione è possibile. Negli ultimi anni hanno capito quanto sia importante l’ascolto anche psicologi e ostetriche dei migliori consultori e reparti maternità. Tra i primi il Centro Nascita dell’ospedale Careggi di Firenze, che organizza corsi per le neomamme. «A differenza dei normali corsi di preparazione al parto che durano otto settimane, i nostri coinvolgono le future mamme già nel secondo trimestre, quando il bambino inizia a muoversi, e continuano fino a tre mesi dopo la nascita» spiega Giuliana Lino, psicologa del Careggi. «Parliamo di tutto, dalle aspettative sulla maternità a come vivere la gravidanza in uno stato di benessere». Il primo colloquio è un’occasione per ricostruire la storia della donna. «Spesso chi è a rischio di depressione l’ha già sperimentata in passato, ha una madre o una sorella che ne hanno sofferto, oppure dei malati psichici in famiglia. Ma noi, grazie al rapporto di fiducia che creiamo, siamo in grado di aiutarle».

Nei consultori familiari di Trieste, invece, le mamme si riuniscono in gruppi, ognuno coordinato da un’ostetrica, e si frequentano fino a quando il bambino non ha raggiunto il sesto mese d’età. «Alcune vorrebbero continuare, perché temono di sentirsi sole, senza appoggio» spiega Annamaria Cortese, ostetrica della Azienda per i servizi sanitari triestina. «Condividere le proprie ansie è terapeutico perché si scopre che sentimenti ambivalenti, persino negativi, nei confronti del nuovo nato non sono poi così rari. In più, se una mamma sta male e tende a isolarsi, tutto il gruppo si dà da fare per coinvolgerla di nuovo e strapparla alla depressione».

Un centro per guarire

«Ma la realtà nella maggioranza del Paese è diversa» spiega Claudio Mencacci, direttore del Dipartimento di Psichiatria dell’azienda ospedaliera Fatebenefratelli-Oftalmico di Milano. «In molti casi la depressione post partum non viene riconosciuta, né diagnosticata». Mery Patrizio, per esempio, si era rivolta a uno psichiatra che aveva sottovalutato la gravità del suo male. «Non basta uno psichiatra qualunque» avverte Mencacci. «Servono specialisti che sappiano cosa accade nei momenti critici della vita di una donna». Proprio per questo, all’interno della clinica Macedonio Melloni di Milano, Mencacci ha creato un Centro studi per la prevenzione e la cura dei disturbi depressivi femminili. Il primo e l’unico in Italia. Qui le mamme non hanno più timore di nominare i fantasmi che le assillano.

E dal 21 dicembre scorso, giorno dell’inaugurazione, oltre cento di loro hanno varcato quel portone. Nelle tre stanze con le pareti rosa, le accolgono dieci psichiatre e psicologhe, pronte a tendere la mano e ad ascoltare. «Nei primi incontri cerchiamo di capire la profondità del disagio» spiega Roberta Anniverno, psichiatra, responsabile del Centro. «Chiediamo alla madre se il bambino è un figlio desiderato, come sono i rapporti con il partner, se stanno attraversando difficoltà economiche. Poi si decide la cura. Possono bastare semplici sedute di rilassamento, dove s’impara a tenere a bada l’ansia attraverso il controllo del respiro e la distensione dei muscoli. Oppure si sceglie la psicoterapia accompagnata dai farmaci, se la paziente soffre di vera depressione».

Anche la scrittura è una buona medicina. «Consigliamo alle mamme di annotare le proprie emozioni» spiega Anniverno. «All’inizio sono cariche di pessimismo, poi lentamente si intravede uno spiraglio». Com’è successo a Susanna, vittima di fantasie ossessive ricorrenti. Lei avrebbe voluto scacciarle, ma quelle le si insinuavano nella testa. Tenaci, cattive. «Penso che potrei far male al bambino, magari gettarlo dalla finestra» registrava nelle prime pagine del quaderno. «Così mi tengo lontana da tutte le finestre». Sono passati alcuni mesi e Susanna non ha più bisogno di adottare strategie. Sta molto meglio, segue una psicoterapia e il marito la aiuta ad accudire il bebè. «Non accade quasi mai che le mamme depresse diano seguito ai pensieri ossessivi» spiega Anniverno.

«Ma devono essere tenute sotto stretto controllo e prendere con regolarità i farmaci». Prima o poi usciranno fuori dal tunnel. «La depressione post partum passa» assicura Fiona Marshall, autrice di Mamma in blu, fortunato saggio di cui l’editore Salani sta curando un’edizione aggiornata, a settembre in libreria. «È importante dichiarare subito che l’incubo finirà» spiega la psicologa inglese. «Perché quando una donna si trova in preda a questa cupa e all’apparenza eterna condizione ha davvero bisogno di speranza».

C’è chi arriva a uccidere

Mery Patrizio: è accusata di avere annegato, il 18 maggio, il suo bambino di 5 mesi, Mirko Magni. La giovane madre dopo la nascita del figlio era caduta in depressione. Ora è rinchiusa nel carcere psichiatrico di Castiglione delle Stiviere (Mantova).

I sintomi da tenere d’occhio

Come può capire una mamma se soffre di depressione post partum? Esistono dei sintomi precisi, che la psicologa inglese Fiona Marshall elenca nel suo best seller Mamma in blu (Salani). Tensione e panico. La mamma non riesce a rilassarsi, è sempre irritabile, scoppia a piangere in ogni occasione. Ed è preda di attacchi d’ansia. Sensazione di non farcela. Tende a sbrigare con grande difficoltà anche le attività più semplici legate alla cura del figlio. Pensieri ossessivi. Si fissa su un’idea spesso assurda. Per esempio quella di non dare la giusta dose di latte al bambino, oppure che il marito abbia un’amante. Senso di isolamento. Si convince che non ci sia nessuno con cui parlare e non ha voglia di vedere neppure le amiche. E, nei casi più gravi, neanche di rispondere al telefono. Stanchezza. Si sente svuotata, sfinita, non riesce ad adattarsi ai ritmi delle poppate notturne. Soffre d’insonnia. In alcuni casi basterebbe un po’ di riposo per rimettersi in sesto. Disordini alimentari. La madre è inappetente o, al contrario, ha un’insolita, eccessiva voracità.

Di Antonella Trentin

Fonte: Donna Moderna 18/6/2005