La povertà frutto della solitudine

stopsltd-ad-mast

Donne separate, divorziate, senza lavoro o appena licenziate, madri sole sulle quali grava l’intero peso della cura dei figli. Sono loro le vittime di quel genere di povertà da cui è più difficile uscire.

Le analisi dinamiche della povertà, analisi fondate su campioni di famiglie osservate per molti anni, hanno evidenziato che le madri sole hanno una maggiore probabilità di rimanere povere a lungo e incontrano le maggiori difficoltà a rientrare nel mercato del lavoro dopo un licenziamento. Queste analisi evidenziano che la povertà spesso non è una condizione stabile (once poor, ever poor), colgono lo sviluppo nel tempo dei processi di impoverimento, ma rilevano che il superamento della crisi e il rientro in condizioni di reddito normali è molto più difficile per questa tipologia di famiglia.

Madri sole, madri povere

Le famiglie costituite da un solo genitore, donna, rappresentano una quota crescente di famiglie povere: costituiscono il 12,2% delle famiglie povere, sebbene nel complesso delle famiglie italiane esse rappresentino l’11%, e il loro numero cresce costantemente (nel 1998 erano il 9,6%).

Recenti studi, realizzati per lo più in Gran Bretagna e in Germania, hanno rilevato che le persone che vivono in famiglie monogenitoriali hanno circa un quarto delle probabilità rispetto alla media delle famiglie povere di uscire dalla povertà e un rischio superiore di ben tre volte di cadere in futuro in tale condizione. Considerando tutte le tipologie familiari, quelle monogenitoriali presentano i tempi più lunghi di permanenza in povertà e negli anni soffrono di periodi ripetuti di povertà, intervallati da periodi più brevi di sufficienza economica; il tasso di permanenza in condizioni di povertà è due volte e mezzo quello riscontrabile nella popolazione povera nel suo complesso.

Alcuni ricercatori inglesi, esaminando ampi campioni di famiglie, hanno osservato che le famiglie monogenitoriali permangono in una condizione di povertà mediamente per 3,5 anni, se hanno due figli il tempo di permanenza è mediamente di 4,2 anni.

Quando divorziare significa cadere nella povertà 

L’evento che più frequentemente è associato ad una caduta nella povertà è il passaggio da una famiglia nucleare classica ad una famiglia monogenitoriale.

Il rischio di povertà è cresciuto enormemente in questi anni per il diffondersi anche nel nostro Paese di nuove forme di monogenitorialità.

Le famiglie monogenitoriali risultano crescentemente determinate da una rottura del nucleo familiare a seguito di una separazione o di un divorzio, piuttosto che a causa di una vedovanza: in Italia le madri sole a seguito di vedovanza erano nel 1994 il 64,6%, ora sono il 57%; le madri separate o divorziate erano il 27,2% ora sono il 35, 2% mentre sono diventate appena il 7,8% le madri nubili. L’incremento delle separazioni e dei divorzi ha, insomma, consolidato questa tipologia familiare: le donne con meno di 35 anni che hanno sperimentato uno scioglimento dell’unione coniugale, solo nel 13,4% dei casi (contro il 30% degli uomini) rientrano nella famiglia d’origine, mentre più frequentemente diventano madri sole (il 24,1%).

Queste nuove forme di monogenitorialità presentano dinamiche d’impoverimento sostanzialmente differenti rispetto a monogenitorialità generate da vedovanze. In molti studi e ricerche e in rapporti ufficiali questo aspetto non viene, però, sottolineato a sufficienza.

Nessun aiuto per la cura dei figli

I rapporti sulle politiche contro la povertà e l’esclusione sociale predisposti dalla Commissione nazionale rilevano costantemente che la povertà di questi nuclei familiari è legata alla doppia presenza della donna, alle difficoltà che incontra nel comporre le esigenze del lavoro con quelle di cura nei confronti degli altri componenti la famiglia. Il quadro che emerge non è, prevalentemente, di disgregazione del nucleo familiare, ma di difficoltà connesse a gestire una pluralità di eventi negativi, che eccedono le capacità, talvolta elevate, della madre sola di gestirli: ciò che emerge con chiarezza non è l’incapacità delle donne povere di gestire situazione complesse, ma la dimensione dei problemi che esse devono affrontare derivante dalla struttura della famiglia, l’insufficienza delle strategie di fronteggiamento messe in atto per “internalizzare la crisi”, rinunciando loro stesse al soddisfacimento di bisogni essenziali e moltiplicando il loro impegno di cura, dando maggiore compattezza al nucleo familiare, risolvendo conflitti.
Ma questa è solo una parte del problema. Nel loro complesso le famiglie monogenitoriali presentano al loro interno più limitate risorse integrative e di protezione, minore capacità di affrontare gli eventi; ma le madri sole per separazione o divorzio soffrono condizioni più critiche, presentano un maggiore isolamento, minori capacità di promuovere relazioni di sostegno sociale nell’ambito della parentela allargata, del vicinato, dei rapporti amicali.
Le madri sole in cui tale condizione è determinata da una separazione o un divorzio sperimentano, quasi inevitabilmente, un isolamento superiore alle vedove, la rete di aiuti informali è più debole, e tale distacco dalla rete di aiuti informali e di sostegno sembra essere una delle ragioni più rilevanti che conducono ad una condizione di povertà.

Chiudersi nella crisi

Le madri sole per rottura del nucleo familiare si allontanano da importanti forme tradizionali di sostegno, dai vincoli familiari e di vicinato, e questo distacco determina una forte dipendenza dalle condizioni del lavoro, dalle sue specifiche tutele, dalla sua stabilità.
La vita di queste famiglie diventa troppo dipendente dall’inserimento nel mercato del lavoro, con appigli nelle relazioni familiari, nelle reti parentali, sempre più incerti e precari.
Spesso si ritiene che la caduta nella povertà sia determinata esclusivamente dalla precarietà dell’occupazione, dalla irregolarità della posizione lavorativa, dalla disoccupazione. In realtà il mercato del lavoro e le sue precarietà producono effetti devastanti quando le altre sfere della vita (il sistema pubblico di protezione, la famiglia di appartenenza, le famiglia di origine) non svolgono una funzione di riequilibrio, non mettono a disposizione risorse in termini compensativi.

Tra le madri sole a causa di una separazione o di un divorzio la perdita o una forte diminuzione del reddito da lavoro ha pochi margini per essere affrontato soprattutto in quanto s’indeboliscono le possibilità di costruire reti di sostegno: un licenziamento, periodi intermittenti di occupazione, perdita di rilevanti benefici o una sensibile riduzione del livello di reddito sono eventi, pertanto, che determinano un forte rischio di povertà, molto più elevato del rischio a cui sono esposti altre forme familiari.

Di Remo Siza: sociologo, è stato per molti anni presidente dell’Osservatorio regionale del volontariato istituito presso la Regione Sardegna. È docente di programmazione sociale presso l’Università del Molise.

Fonte: http://www.fivol.it/rivista/2004/sizagiugno.html