Uno stato d’animo da conoscere

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Un sondaggio condotto dall’Associazione italiana di psicologia applicata rivela che, su un campione di 1.000 soggetti, il 29 per cento ammette di sentirsi ” solo”. Perché una percentuale così alta? Cerchiamo di capirlo insieme agli esperti.

“È strano essere conosciuti universalmente eppure sentirsi così soli”. Lo ha scritto Albert Einstein, individuando nella solitudine uno dei grandi paradossi della natura umana. Perché questo stato d’animo non dipende solo dal fatto di ritrovarsi, in alcuni momenti della vita, a vivere da soli, senza la presenza fisica di un partner o di una famiglia.

Un sondaggio dell’Associazione italiana di psicologia applicata rivela che, su un campione di 1.000 soggetti, il 29 per cento ammette di sentirsi “sempre solo”, “spesso solo” o “talvolta solo” quando è in compagnia dei propri familiari. “In una società dai ritmi veloci come la nostra, si preferisce parlare poco di solitudine, quasi fosse un tabù” spiega Antonio Lo Iacono, psicoterapeuta, presidente della Società Italiana di psicologia e autore di Psicologia della solitudine (Editori Riuniti).

“In questo modo si spera di negarla e, nel quotidiano, la si annulla in diversi modi. C’è chi non si stacca mai dal telefonino, chi vive con la televisione sempre accesa, chi si inventa una vita virtuale chattando in Internet”. Ma perché si cerca di riempire i vuoti, di non staccare mai i contatti con il mondo? “Perché prendere le misure della propria solitudine obbliga a ripiegarsi su se stessi, a sondare le proprie emozioni e questo fa paura: si ha timore dell’ignoto”.

Nessuno può negare che sentirsi soli, in alcuni momenti, sia un peso. Ma la solitudine non è sempre negativa. “Può diventare creativa, portarci a realizzare la nostra vera natura, il nostro talento. E darci gioia di vivere” spiega Raffaele Morelli, psichiatra e direttore della rivista Riza Psicosomatica.La lingua inglese distingue fra tre differenti solitudini. Aloneness è la solitudine fisica; loneliness esprime la sofferenza di chi si sente solo. Infine, c’è solitude, che indica l’appagamento e il senso di tranquillità, sia emotiva sia fisica, di chi vive in modo solitario. Nelle prossime pagine parleremo di tutti e tre questi aspetti.

Come reagire ai momenti di vuoto

Ci sono condizioni che favoriscono il desiderio di chiudersi in se stessi e di isolarsi dagli altri. Ecco, con l’aiuto di Anna Salvo, psicoterapeuta, quali sono e come affrontarle.

– Quando fai un bilancio della tua vita. Di solito è improvviso e imprevisto, per questo puoi trovarti da sola con te stessa. Il senso di solitudine può accentuarsi se tendi a vedere gli altri come la causa di obiettivi non raggiunti. 

Per esempio non hai avuto un figlio o non sei riuscita a ottenere una promozione. Per superare questo momento devi prendere consapevolezza dei tuoi limiti, di quello che potevi fare e non hai fatto. Se li accetti sarai più indulgente con te stessa. E gli altri avranno sempre un posto importante nella tua vita.

– Dopo la fine di un amore. È naturale sentirsi soli e può essere il preludio di un periodo difficile da affrontare. Ma la solitudine, a volte, può darti anche sollievo; ti permette di ripartire da te stessa, dopo aver fatto i conti con il passato.

– In una fase di crescitae cambiamento. Perdi di vista degli amici, ne conosci di nuovi. Tra un passaggio e l’altro devi mettere in conto un po’ di solitudine. Ma non preoccuparti: sarà passeggera, quasi un ponte fra un’esperienza e l’altra, durante il quale raccogliere le energie e ripartire con nuovo slancio.

Impara a dosare i rapporti con gli altri

Una frase del tipo: “Sono sola, o solo, perché nessuno mi cerca” è segno di un certo vittimismo. Ma indica anche che stai vivendo la solitudine con sofferenza, come una condizione non scelta ma subita. Purtroppo questo tipo di un atteggiamento non aiuta a vivere meglio, anzi. Di solito alimenta e carica ancora più di negatività il proprio isolamento. Maria Miceli, ricercatrice all’Istituto di scienze e tecnologie della cognizione del Cnr, nel suo recentissimo libro Sentirsi soli(il Mulino, 11,80 euro) individua tre gruppi di persone che, vivendo male la solitudine, adottano comportamenti sbagliati. Vediamoli da vicino.

I bisognosi

Cercano continuamente il sostegno degli altri. Hanno una smodata necessità di contatto con le persone e sono sempre alla ricerca di figure materne, calde e affettuose. Corrono il rischio che gli amici possano infastidirsi o sentirsi soffocati.

La soluzione: Imparare, anche con l’aiuto di un esperto, a vincere la paura di non farcela da soli.

Gli oppressi

Trattengono i sentimenti, comprimono le energie e hanno atteggiamenti sottomessi. Per loro l’isolamento è un peso spesso insostenibile e vivono in tensione perché non riescono a liberare ed esprimere ciò che hanno dentro. Per questo cercano di essere accettati a tutti i costi.
La soluzione: Recuperare l’nteresse per attività solitarie, che non vanno viste come un ripiego. Anche l’autostima va coltivata, soprattutto quando l’esistenza sembra avere senso solo in relazione agli altri.

Gli orgogliosi

Per eccesso di orgoglio, appunto, si vietano di cercare gli altri, anche se il desiderio e il bisogno sono intensi. Preferiscono non esprimere il loro stato d’animo per timore di venire rifiutati. Sono spesso ambiziosi e aggressivi e fanno di tutto per evitare di chiedere aiuto a qualcuno. Loro lo vivrebbero come un gesto di sottomissione.
La soluzione: Coltivare amicizie, anche superficiali, li può rassicurare ad abbassare il livello di diffidenza che hanno verso gli altri.

Di Anna Scarano e Anna Tagliacarte

Fonte: Dossier di Donna Moderna